Il diritto all’abitazione, disciplinato dall’articolo 1022 del Codice Civile e dai successivi, è una forma di diritto reale di godimento che consente a una persona di risiedere in un immobile di proprietà altrui. I diritti reali di godimento permettono a un individuo di usufruire di un bene appartenente a un altro soggetto.
Questo diritto è specificamente circoscritto alle esigenze personali di chi ne beneficia e della sua famiglia, escludendo quindi la possibilità che una persona giuridica ne possa essere titolare e limitando il diritto esclusivamente a immobili destinati all’abitazione. Vediamo più nel dettaglio.
In che cosa consiste il diritto di abitazione?
Come anticipato, il diritto di abitazione è una prerogativa che consente a una persona di vivere in una casa di proprietà altrui, utilizzandola come propria residenza. Questo diritto si distingue per essere strettamente personale, quindi non può essere ceduto, venduto o ereditato. La persona che ne beneficia può utilizzare l’abitazione esclusivamente per sé stessa e per la propria famiglia. Non può però destinarla a usi diversi, come affittarla o trasformarla in un ufficio.
Secondo l’articolo 1023 del Codice Civile, questo diritto può includere non solo i figli nati prima dell’acquisizione del diritto, ma anche quelli nati successivamente, inclusi i figli adottivi e riconosciuti. Inoltre, possono usufruirne anche persone che convivono con il titolare per prestare servizi alla famiglia. L’articolo 1024 specifica che l’abitazione non può essere ceduta o affittata. L’articolo 1025, infine, stabilisce che il titolare del diritto è responsabile delle spese di manutenzione ordinaria, delle riparazioni, dei tributi, e delle spese di coltura nel caso l’immobile sia agricolo.
Se il diritto si limita solo a una parte dell’immobile, le spese devono essere sostenute proporzionalmente alla quota di utilizzo.
Qual è la differenza tra usufrutto e diritto di abitazione?
L’usufrutto e il diritto di abitazione sono entrambi diritti reali che permettono di utilizzare un bene di proprietà di un’altra persona, ma presentano differenze fondamentali.
L’usufrutto consente a chi lo detiene di godere e utilizzare il bene per un periodo di tempo determinato o per tutta la vita. L’usufruttuario può utilizzare il bene, affittarlo e ottenere profitto economico. Ha anche la possibilità di apportare modifiche al bene, purché queste non ne alterino la destinazione d’uso o ne diminuiscano il valore. Tuttavia, la proprietà legale del bene resta al nudo proprietario.
Il diritto di abitazione, d’altra parte, è limitato esclusivamente all’uso abitativo del bene. Chi detiene questo diritto può vivere nell’immobile, ma non ha il permesso di affittarlo o di ricavarne profitti economici. Inoltre, il diritto di abitazione è personale e non può essere trasferito a terzi. Questo diritto termina generalmente con la morte dell’intestatario, a meno che non sia stato concesso per un periodo specifico.
Quando decade il diritto all’abitazione?
Come detto nel paragrafo precedente, il diritto di abitazione termina con la morte del suo titolare e non può essere trasmesso oltre la sua vita. Questo diritto può essere istituito attraverso diverse modalità, come un contratto, una disposizione testamentaria, o per legge, nel caso di decesso di uno dei coniugi. In situazioni di divorzio o separazione, il diritto può essere conferito al coniuge che ottiene l’affidamento dei figli mediante una sentenza giudiziaria. Inoltre, è possibile acquisire il diritto per usucapione, cioè attraverso l’uso prolungato e continuo del bene.
Quando non spetta il diritto di abitazione?
Il diritto di abitazione non spetta in diverse situazioni. In primo luogo, se l’immobile non è adatto all’uso abitativo o non è in buone condizioni, il diritto di abitazione potrebbe non essere riconosciuto. Inoltre, se la proprietà dell’immobile viene trasferita a terzi attraverso una vendita o una donazione che impedisce il mantenimento del diritto di abitazione, quest’ultimo potrebbe cessare. Un altro caso in cui il diritto di abitazione non spetta è quando manca un titolo valido o formale che lo riconosca.
Il diritto può anche essere revocato se il titolare rinuncia esplicitamente o se esistono condizioni specifiche che ne prevedono la decadenza. Inoltre, contratti o accordi tra le parti possono limitare o escludere il diritto di abitazione, e in caso di inadempienza, come il mancato pagamento delle spese di mantenimento dell’immobile, potrebbe influire sulla concessione o continuazione di tale diritto.
Diritto all’abitazione del coniuge superstite
In base a quanto stabilito dall’articolo 540 del Codice Civile, in caso di morte del titolare del diritto, il coniuge superstite acquisisce il diritto all’abitazione dell’immobile, a condizione che la residenza familiare fosse stabilita in tale luogo. Questo diritto viene trasferito tramite successione ereditaria e rimane valido anche se l’immobile dovesse essere suddiviso tra più eredi.
Tuttavia, questo diritto non si estende ai coniugi che erano legalmente separati al momento del decesso, poiché la normativa mira a proteggere la stabilità della vita familiare e non prevede la protezione in caso di separazione legale.
Nel caso di separazione o divorzio, è il giudice a decidere se concedere il diritto di abitazione su un immobile di proprietà dell’altro coniuge. In genere, il diritto viene assegnato al coniuge affidatario dei figli, indipendentemente dalla proprietà dell’immobile.